BREVE IPOTESI ATTRIBUTIVA DEL DIPINTO RAFFIGURANTE SANTO STEFANO PRESSO LA COLLEGIATA DI SANTO STEFANO DI POTENZA PICENA

12 10 2011

BREVE IPOTESI ATTRIBUTIVA DEL DIPINTO RAFFIGURANTE SANTO STEFANO PRESSO LA COLLEGIATA DI SANTO STEFANO DI POTENZA PICENA

a cura di Mauro Barberini

Porto Potenza Picena li, 11 Ottobre 2011

Entrando nella Chiesa Collegiata di Santo Stefano (ex chiesa di Sant’Ignazio) di Potenza Picena si nota subito la centralità riservata alla tela raffigurante il Santo Martire essendo collocata proprio dietro l’altare centrale.

La tela ha dimensioni molto importanti, e dalle ricerche effettuate fino ad ora non si hanno nuove acquisizioni in merito al periodo di realizzazione ne al suo autore.

La guida di Potenza Picena redatta da Roberto Domenichini riporta l’indicazione “scuola bolognese dell’600”.

Quello che si conosce di certo è il passaggio avvenuto della tela che figurava nell’antica Chiesa Collegiata di Santo Stefano ubicata fino alla fine dell’700 nell’attuale piazza Matteotti, di fronte il Palazzo Comunale.

La Chiesa distrutta è sempre stato l’edificio religioso più importante dell’urbe. Una Pieve che viene innalzata da Benedetto XIV° a Collegiata insigne nel 1754.

Ho verificato nell’archivio Diocesano di Fermo consultando alcune visite pastorali dell’epoca che il quadro di Santo Stefano era esposto da sempre dietro l’altare, in posizione nettamente centrale e dunque da sempre alla tela era stato riservato un posto di spicco all’interno della Chiesa.

Questo fatto è molto importante al fine di conoscere di più dell’opera.

Mi sono soffermato parecchio nel leggere l’opera in tutti gli elementi che pone in evidenza, ma solo recentemente ho avuto l’intuizione di chi può esserne l’autore.

Il dipinto è di una buona mano, condotto con molta capacità artistica e questo mi ha sempre motivato a cercare qualcosa in più.

Giustamente Roberto Domenichini ha rilevato che la tela è di affiliazione bolognese, e incontro a questa indicazione ho cercato nel pittore che più ha influenzato le Marche attorno il 3° e 4° decennio dell’600, ovvero Simone Cantarini da Pesaro.

Il pittore Pesarese è un esponente di rilievo nazionale e l’eco della sua pittura giunge con la tela di Santo Stefano anche a Potenza Picena.

Se si guarda infatti il Santo Stefano che Simone Cantarini dipinge per la chiesa omonima di Bazzano nella provincia di Bologna nel 1637, si può certamente capire che il pittore impegnato nel paesino marchigiano è oltremodo affascinato dal risultato di Cantarini sia dalla semplicità compositiva che dalla raffinata stesura dei colori e degli effetti luministici, e dall’affascinante richiamo alla migliore pittura classica del suo maestro Guido Reni.

Di certo il pittore di Potenza Picena non riesce a raggiungere queste vette, ma si inoltra in un percorso di chiaro scuro molto netto che di per sé si allontana dal Cantarini, ma l’impianto compositivo è altresì semplice, la tela si accende di bagliori improvvisi nella stola del Santo potentemente rossa e nel cielo aureo dietro Cristo.

Si guardi ancora il sapiente disegno nel panneggio della veste del Santo che appare sotto la dalmatica rossa o anche la trama di questa finemente immaginata e le ricadute del tessuto in prossimità della mano sinistra, tesa in alto, del Martire.

Il tempo e l’usura hanno di certo rovinato l’impianto cromatico, e si apprezzano male i volti baluginanti degli angioletti stilizzati negli angoli in alto del dipinto.

La partitura cromatica richiama poi anche il Lanfranco di Fermo ovvero nella Pentecoste realizzata nel 1630 per la chiesa di San Filippo e alla sua cimasa raffigurante l’Eterno che tiene la sua mano sul globo come anche qui fa Cristo.

Il pittore perciò si dimostra molto attento ai suoi contemporanei e molto colto nel citare brani e atmosfere innovative del tempo.

L’ascendenza classicistica la si riscontra anche dal fatto che il pittore non rinuncia alla citazione architettonica inserendo come appoggio del Santo una base ampia di colonna.

Tutti questi elementi mi hanno condotto sulla scia di Flaminio Torri nato a Bologna nel 1621 e morto a Modena nel 1661.

Del pittore e delle sue opere si conosce molto poco,  fu allievo di Simone Cantarini, di Giacomo Cavedoni e frequentò la bottega di Guido Reni. Collaborò con altri allievi del Cantarini come Lorenzo Pasinelli, Giulio Cesare Milani e anche Giovanni Peruzzini, allievo nativo di Ancona, che per la sua città realizzò due tele importanti per i Carmelitani e per lo Spedale di Santa Teresa e fu attivo anche ad Ascoli Piceno.

Forse proprio tramite l’anconetano Giovanni Peruzzini il pittore prese contatti con la comunità Potentina, ma veniamo a vedere come.

Bisogna velocemente considerare che la figura di questo pittore è di rilevanza nazionale in quanto si sa che fu incaricato da Alfonso IV d’Este, duca di Modena, presumibilmente negl’anni ’50 come testimoniato dal Roli, alla sovrintendenza della Galleria Estense.

Collezione non di poco conto, dato che annoverava tra i tanti pregiati pezzi anche il ritratto del duca Francesco I opera di Velasquez o anche il ritratto di marmo di Gian Lorenzo Bernini.

Sempre in questi anni il pittore subirà la forte influenza teatrale di Mattia Preti.

A supporto di questa attribuzione si guardi il dipinto realizzato per la Chiesa dell’Osservanza di Imola da Flaminio Torri, raffigurante l’apparizione di Gesù Bambino a Sant’Antonio da Padova 1650.

Sant’Antonio riveste una posizione centrale ma rivolto verso sinistra. Il modo di inquadrare il volto è identico, la predominanza del profilo è netta, come per la decisa sottolineatura della guancia pienamente illuminata.

Molto netto è il ricorso al chiaro scuro e tutta l’opera vibra grazie al fascio centrale di luce divina.

Ci sono anche qui gli angioletti stilizzati nella parte alta del dipinto.

L’opera nel complesso è condotta con molta più sapienza e consapevolezza artistica.

Perciò ritengo che la pala di Santo Stefano di Potenza Picena si possa collocare in una fase giovane di Flaminio Torri che va dal 1637 (anno della pala di Bazzano di Simone Cantarini da cui trae ispirazione) al 1645 anno in cui il pittore ormai raggiunge una piena maturità artistica.

Trovo davvero palese questa attribuzione proprio per quello che dice anche Daniele Benati del Torri ovvero: la definizione più affilata dei profili, a marcare una ricerca di verità che, … insegue dinamiche sentimentali più instabili e nevrotiche di quanto non sia nell’olimpico mondo di Reni o nello stesso Cantarini.

Renato Roli, infatti sostiene che Torri trovi “una più libera concezione della trama pittorica, che animandosi di improvvisi lampi e contrastate affocature instaura stimolanti fermenti materici” rispetto alla pittura di Cantarini e Reni, il bolognese cerca più corpo o meglio, come dice Benati “aggiunge maggiore fisicità l’inedita dialettica tra la luce e l’ombra, tesa a proiettare le figure del modello su un orizzonte più umano.”

Bisogna infine considerare che Flaminio Torri è attualmente conosciuto dagli storici dell’arte e dal mercato molto più per opere di piccolo formato che circolano abbastanza copiose. E’ stato dunque attivo molto per committenza privata nella sua vita, e l’avere una tela come questa di Santo Stefano di grande formato, e a carattere pubblico, in quanto realizzata per una committenza religiosa, è e deve essere un vanto per la piccola comunità di Potenza Picena, che pone le basi per ricostruire uno spaccato della giovinezza di questo artista un po’ dimenticato.

Il discorso prettamente estetico si completa e prende forza da un ultimo piccolo dettaglio inserito nella parte in basso a destra della tela della Collegiata di Santo Stefano.

Se si guarda bene in questo angolo, giace uno scudo con impressa l’immagine di una torre larga sormontata da una torre più esile.

L’emblema benché assomigli a molti stemmi araldici non trova precisi raffronti con cognomi italiani. Perciò l’immagine, sono convinto, può essere letta come la firma del giovane Flaminio Torri in cerca di fama e riconoscimento fuori dalla sua terra.

Altri esempi della pittura di Torri e del suo approccio materico a accalorato si possono riscontrare nelle rappresentazioni della Santa Caterina d’Alessandria o del San Girolamo Penitente realizzato per la Chiesa di San Giovanni in Monte a Bologna.

Bibliografia:

Renato Roli, Pittura bolognese 1650 – 1800. Dal Cignani ai Gandolfi, Bologna, 1977

“Monte Santo : itinerari storico-artistici del Comune di Potenza Picena” testi a cura di R. Domenichini, Duilio Corona, Moreno Campetella, Potenza Picena 1998.

Daniele Benati, Incontro con la pittura 15 – Quadreria Emiliana Dipinti e disegni dal Quattrocento al Settecento, Bologna, 27 ottobre – 22 dicembre 2007

Testo di Mauro Barberini

Foto e consulenza fotografica di Stefano Barberini

 

(download PDF version)  Breve Ipotesi Attributiva del quadro di Santo Stefano Collegiata

 

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Testamento “PITTORICO” della Sig.ra ANNA CREDENZIATI “REDATTO” dal pittore GIAN DOMENICO CERRINI – a cura di MAURO BARBERINI

11 10 2011

IPOTESI ATTRIBUTIVA SUL DIPINTO DELLA CHIESA DI SANT’ANNA di POTENZA PICENA loc. PORTO

TITOLO

TESTAMENTO “PITTORICO” DELLA SIG.RA ANNA CREDENZIATI “REDATTO” DAL PITTORE GIAN DOMENICO CERRINI

a cura di

Mauro Barberini

Porto Potenza Picena, anticamente Sacrata, poi porto di Monte Santo, custodisce nella chiesa di Sant’Anna una bellissima tela raffigurante la Sacra Famiglia con la Santa omonima.

Da sempre quest’opera mi ha incuriosito, ma gli elementi finora conosciuti, non aggiungevano nulla rispetto all’idea, che questa fosse di un pittore dell’600 vicino lo stile del Pomarancio.

I racconti e la tradizione orale ricordano che l’opera perviene qui tramite i Marefoschi alla fine dell’800.

Lo studio paziente di Roberto Domenichini e di Paolo Onofri, riportano poi alla luce alcuni passaggi importanti.

Innanzitutto viene scoperto il testamento di Anna Credenziati, che nel 1677 (in prima stesura) dona un quadro raffigurante la Vergine Maria e il Bambino, San Giuseppe e Sant’Anna con l’intenzione di donarlo alla pieve di Santo Stefano, chiesa non più esistente nell’attuale piazza di Potenza Picena, e nel caso lì non si potesse, lascia il compito di collocarlo allo zio Camillo Marefoschi nominato suo erede.

Della signora si sa fosse figlia di Simone Credenziati e di Fiordalisa Marefoschi figlia nata dal secondo matrimonio di Pietroantonio Marefoschi* con Maria Peroni.

La famiglia Credenziati era molto in vista nel borgo di Monte Santo. Oltre al lustro della parentela acquisita con i nobili potentini, ho scoperto che un sig. Anton Francesco Credenziati nel 1675 ricopriva il ruolo di Priore del Comune nel bimestre marzo – aprile dello stesso anno e ancora più indietro un Cesare Credenziati figurava come notaio nella prima metà dell’500.

Come Domenichini spiega molto bene, il ruolo di priore inizialmente si ricopriva per estrazione, poi nel 1600 le regole non vengono più rispettate, perciò le cariche di gonfaloniere e di priore, come pure di consigliere di credenza, sembrano diventare una sorta di diritto ereditario, riservato alle famiglie nobili.

Una famiglia dunque molto influente, annoverata tra i nobili del paese, che si imparenta per di più con i Marefoschi di Pietrantonio, personaggio molto caro all’ordine dei Gesuiti*. Grazie al suo lascito infatti a Potenza Picena si costruì la chiesa di Sant’Ignazio (oggi di Santo Stefano) con annesso collegio.

Inoltre la sig.ra Anna Credenziati risulta sposata con Benedetto Collio*, cognome importante per la nostra provincia che richiama proprio quella famiglia che diventerà nota come Servanzi-Collio di San Severino.

Oltre al testamento ho avuto la fortuna di trovare altri documenti notarili postumi ad esso, che riportano tutta la vicenda degli spostamenti del dipinto.

Un inventario cita il quadro subito dopo la morte della donna, in una cassapanca d’abete nella sua casa sita nel rione Sant’Angelo (molto adiacente alla piazza). Poi nei primi dell’700 riappare nella chiesa di San Pietro, in una cappella decorata da stucchi, apparati lignei e da una balaustra voluti da Camillo Marefoschi che scelse il posto e finanziò i lavori e pose anche il suo stemma di famiglia.

La chiesa venne demolita alla fine dell’800 e l’opera giunse dunque nella piccola chiesa del porto, sua attuale collocazione.

Che l’opera fosse degna di particolare attenzione lo si evince in primis dall’aspetto estetico ma anche dall’intenzione della sig.ra Credenziati che a fronte di questa donazione chiedeva venissero celebrate a suo suffragio almeno 5 messe  fino poi a chiederne solo1 asettimana in perpetuo.

I documenti per ora ritrovati si fermano però qui, e da qui invece inizia a parlare l’opera stessa.

Al centro della composizione figura una bellissima e delicata figura della Vergine Maria, che gira il capo alla sua sinistra guardando oltre lo spazio del quadro.

Uno sguardo intenso e un viso lumeggiato che da un excursus sulla pittura del secondo ‘600 mi ha riportato alla mano di Gian Domenico Cerrini meglio noto come “Cavalier Perugino”.

Il pittore è di origini umbre, nativo di Perugia, ha giocato nel suo tempo un ruolo importante nella compagine delle famiglie illustri di Roma, di Firenze, di Bologna e del centro Italia.

Sue opere figuravano nelle collezioni delle famiglie Barberini, Rospigliosi, Spada, Corsini, Medici, Lomellini, Marefoschi e molte altre.

Le prime due hanno avuto due papi illustri, Urbano VIII e Clemente IX, mentre le altre sono famiglie nobili che hanno prodotto comunque figure di eminenti Cardinali e politici molto in vista.

Da subito ho messo a confronto i tratti somatici della Vergine di Porto Potenza  con le opere del “Cavalier Perugino”.

Si prenda per iniziare l’immagine della “Carità Romana” (fig.2) versione della Fondazione Cassa Risparmio di Perugia, che il Cerrini probabilmente realizza per la famiglia Degli Azzi.

Questo dipinto è stato datato da Novella Barbolani di Montauto nel settimo decennio del 1600, proprio in consonanza con l’uso che il Cavalier Perugino fa del chiaroscuro, sopratutto nel ritrarre i volti “lasciati in gran parte nell’oscurità” nel contrasto aperto tra una descrizione levigata degli incarnati investiti di luce piena ed altri incarnati rugosi e scuriti.

Non è estraneo neanche l’accendersi del volto della Madonna con il medesimo fulgore che si ritrova negli occhi di Pero (fig.3), così come l’orientarsi del collo e del volto alla destra dello spettatore fisso in una direzione estranea allo spazio scenico, che rapisce lo sguardo della figura e che sembra immergerla in profondi pensieri.

Sempre tra la fine del sesto e l’inizio del settimo decennio possiamo considerare il dipinto della Donna con cesto d’uova (fig.4) ora alla Galleria Corsini a Firenze proveniente dall’appartamento del cardinale Neri Corsini. Ritroviamo qui un crine più ordinato e composto rispetto la figura di Pero della Carità Romana, ma lo sguardo è della stessa intensità, così come è intensa anche l’immersione nella penombra sopratutto di quella baluginante figura di vecchia che compare appena sulla destra e che Novella Barbolani viene ad indicare come “immagine caratteristica di Gian Domenico che la utilizza, con lievi varianti, negli sfondi di Sacre Famiglie o di narrazioni bibliche.” Guardo intensamente anche alla mano della vecchia che si appoggia alla spalla della giovane come ad esortarla o ad ammonirla e la sensibilità di quel gesto la ritrovo nel minuto tocco della mano di Gesù bambino sul viso di Sant’Anna, (fig. 5) nel nostro dipinto di Porto Potenza. Una carezza che nella sua semplicità vedremo nascondere un’intenzione ben precisa.

I tratti che riconducono all’autografia di Cerrini sono quindi diversi,  il viso lasciato in ombra e leggermente inclinato, l’intensità dei colori intorno le figure principali, si veda a proposito la veste azzurra di Maria che mette in risalto il candido incarnato di Gesù Bambino o il torcere del polso della Madonna nel reggere la grande Bibbia o infine il modo di ritrarre San Giuseppe, che richiama la pittura di Guido Reni.

Tutta la composizione è misurata, non ci sono eccessi, le figure sono ben disposte all’interno della scenografia.

L’unico accento ammiccante allo stile barocco è lo svolazzare vistoso dell’abito di San Giuseppe, per il resto quest’opera si misura con uno stile classico, desunto dallo studio dei seicenteschi in particolare dei bolognesi.

Il suo è un linguaggio colto e autonomo, non cede alla fastosità barocca di un Pietro da Cortona, neanche in occasioni di opere di grande respiro e visibilità come per i suoi affreschi che decorano la cupola di Santa Maria della Vittoria, chiesa che ospitò pochissimo tempo prima il contributo di un esponente barocco di lusso come Gian Lorenzo Bernini nella Cappella Cornaro.

Il pittore riesce a trovare una propria strada partendo da Guido Reni, dal suo classicismo rivisitato con accenti del Guercino seconda maniera, guarda con attenzione i valori chiaroscurali di Lanfranco e riprende poi la pittura di Pomarancio mediato dalla lezione del suo conterraneo e maestro Gianantonio Scaramuccia e trova assonanze anche con il Romanelli allievo del Cortona, fino a lambire le altezze espressive di Carlo Maratta.

La vicenda di questo pittore è molto singolare proprio perché nonostante visse una storia molto densa al centro del gusto collezionistico di famiglie nobili e colte, fu presto dimenticato dalla storia stessa. Non figurando dietro nessun faro predominante il suo nome si perde nel tempo, se non fosse per lo storico umbro Lione Pascoli che tenta di valorizzare il contributo del suo conterraneo, si dovrà attendere la vera riscoperta avvenuta alla fine degli anni 20 dell’900 da parte di Longhi e di Voss, fino al contributo importante della Borea nel 1978 e meglio ancora fino alla grande mostra monografica di Perugia del 2005 che finalmente ha posto una base importante per comprendere tutta la sua vicenda.

Per tornare alla nostra tela, in tutto quello che sembrerebbe una normale opera dedicata alla sacra famiglia, come il Cerrini ne ha realizzate tante, compaiono secondo questa ipotesi diversi elementi che vanno ad indicare come l’opera sia frutto non di un mero acquisto ma di una committenza precisa.

Da una rapida analisi del dipinto possiamo vedere nel gruppo centrale figura un Gesù Bambino che regge in mano un arancio.

Sotto di lui troviamo la figura di Sant’Anna dipinta con rimarcate sembianze di vecchiaia, di stanchezza e forse di malattia.

La scena si svolge davanti una quinta formata da un arco, una sorta di porta, descritta in maniera particolareggiata nelle paraste e negli angoli.

In più notiamo anche la presenza di 4 angeli due in basso e due in alto in direzione opposta al primo gruppo intenti a  frenare l’incombere di dense e scure nubi sul Santo gruppo.

In mancanza di documenti che attestino una spesa effettuata dalla Credenziati per la committenza di questo quadro, possiamo offrire questa possibile ricostruzione:

l’omonimia tra la proprietaria del quadro e la figura al centro dell’opera non può essere ritenuta casuale ma si può configurare bensì come un tipico esempio di “ritratto in veste di”, ovvero di un tentativo della proprietaria e dunque committente di “rivivere” nelle vesti della Santa di cui è omonima.

Questo genere di pittura conosce molta fortuna già dal rinascimento; nel seicento, quando la riforma operata dal concilio di Trento diventa solida, diminuiscono i tratti fortemente espressionistici a favore di una più pacata oggettività, di un ritorno al verosimile e non strettamente al vero.

Il ritratto della committente in quest’opera è difatti una ipotesi che si basa su elementi molto allusivi: non ci sono evidenze di emblemi o stemmi che possano ricondurre direttamente ad una identità diversa da quella della Santa e la presenza della signora Anna è molto discreta in linea con l’evoluzione della tipologia di dipinto di questo periodo storico.

I tratti somatici della donna/Santa sono estranei alla consueta maniera di Gian Domenico Cerrini, elemento che rafforza l’ipotesi della committenza.

Certamente l’opera si può collocare negli anni che vanno tra il 1673 e il 1677, nella vecchiaia anche del pittore quando abbandona l’uso di colori squillanti e acidi per abbracciare tonalità più tenui e a tratti stanche.

Una committente che ritratta in questo modo vuole palesare una forte devozione a Cristo per mettere nelle sue mani una vita ostacolata dalle condizioni precarie della sua età e della sua salute.*

Per quanto riguarda l’arancio in mano a Gesù Bambino si deve fuggire la tentazione di affidargli un significato simbolico ma piuttosto  penso lo si debba vedere come piccolo segno  del legame che la signora aveva con il suo aranceto all’interno della sua residenza rurale, già proprietà dei Marefoschi, che si trovava poco sotto Porta Galiziano nei pressi della fonte omonima.

Il posto era già famoso negli anni ’40 dell’600 come “giardino di Porta Galazzano”. Questa abitazione era la prima di una certa importanza della famiglia Marefoschi costruita poco fuori le mura cittadine, che precede quella settecentesca di “Palazzo Rosso” più imponente affacciata appena sopra il porto o ancora quella di Macerata che darà molto lustro alla famiglia ormai imparentata con i Compagnoni sempre nel pieno ‘700.

Il legame con questo giardino da parte della committente è confermato dalla disposizione testamentaria con cui la signora destina 100 scudi al fine di farlo ricondizionare dal suo erede e zio Camillo Marefoschi.

Un altro elemento a favore di questa ricostruzione è  l’arco che incornicia la scena. Un arco che rappresenta secondo me proprio quella porta Galiziano che circoscrive e denomina l’area in cui il “giardino” sorgeva.

Quella porta ha oggi l’aspetto della ristrutturazione del tardo ‘700, ma alla fine dell’600 doveva figurare con le modifiche apportate negli anni ’70 del ‘500, quando la doppia parasta come motivo ornamentale era molto comune.

Che il pittore abbia o meno seguito fedelmente l’architettura della porta, ha comunque poca rilevanza in quanto il suo significato è quello di richiamare quel luogo così caro alla donna, meta sicuramente di frequenti e piacevoli soggiorni.

Il quadro di Sant’Anna perciò sembra raccontare che nell’inverno della sua vita la signora Anna Credenziati attraverso le mani di Cerrini, fa spuntare un arancio nelle mani di Gesù Bambino, che la accarezza quasi  a voler alleviare le sofferenze della sua vecchiaia e della sua malattia.

Un Gesù Bambino che si premura anche di alleviare l’avanzare dell’inverno incaricando i suoi fedeli serafini di respingere le tenebre così fosche di quei nuvoloni.

L’ipotesi attributiva condotta fin qui, ha la necessità di radicarsi nell’evidenza documentaria di pagamenti e accordi stipulati con il pittore.

Il mio auspicio di ritrovare ulteriori documenti comprovanti l’ipotesi di committenza è forte, anche se sul piano prettamente stilistico rimango convinto che l’opera sia da attribuirsi a Gian Domenico Cerrini, il quale viene a completare la presenza nell’600 di importanti maestranze a Potenza Picena tra cui ricordo il Romanelli, pupillo di Pietro da Cortona, (pagato dai Massucci per un’opera smarrita), Andrea Lanzani pittore molto attivo in Lombardia, con la sua Pentecoste nella Collegiata di Santo Stefano, l’architetto e ingegnere Mattia De’Rossi collaboratore e successore a Roma di Bernini (fu anche direttore della fabbrica di San Pietro) che fu chiamato dai Buonaccorsi per la ristrutturazione della villa a Monte Coriolano, il classicista Benedetto Luti, pittore fiorentino formatosi a Roma con Ciro Ferri e Giuseppe Bartolomeo Chiari,  con la sua “Morte di San Giuseppe” sempre nella Collegiata di Santo Stefano e Giacinto Brandi con l’opera a lui attribuita con “Sant’Ignazio e San Girio” situata ora presso i Cappuccini.

dott. MAURO BARBERINI

Bibliografia

“Gian Domenico Cerrini, il Cavalier Perugino tra classicismo e barocco” a cura di Francesco F. Mancini

“Monte Santo : itinerari storico-artistici del Comune di Potenza Picena” testi a cura di R. Domenichini, Duilio Corona, Moreno Campetella, Potenza Picena 1998.

E. Borea, “Gian Domenico Cerrini,” in Prospettiva, 1978

G. Fabiani, Artisti del SeiSettecento in Ascoli, Ascoli 1961

L. Lanzi, Storia pittor. della Italia …, a cura di M. Capucci, I, Firenze 1968

B. Orsini, Guidadi Perugia, Perugia 1784

L. Pascoli, Vite de’ pittorimoderni, Roma 1730

Si ringrazia per la splendida collaborazione il sig. Roberto Domenichini.

Testo di Mauro Barberini

Foto e consulenza fotografica di Stefano Barberini


(download PDF version)  TESTAMENTO PITTORICO DI ANNA CREDENZIATI

TELA SANT’ANNA – PORTO POTENZA PICENA e OPERE CERTE DI GIAN DOMENICO CERRINI

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GIROVAGANDO 2011

7 07 2011

Torna Girovagando,

Domenica 10 e tutte le domeniche di Luglio, non perdetevi questa occasione di vedere e assaggi…are Potenza Picena, di scoprire la verità sul perchè si chiamava Monte Santo e tante altre piccole curiosità di un paesino che ha sempre ispirato una serena laboriosità.

Il ritrovo è davanti la chiesa di Santa Maria della Neve, poi tutti insieme ci sposteremo a Porta Galiziano e da lì inizieremo il giro all’interno dell’antico “Castrum”.

Se non avete possibilità di poter venire autonomamente un piccolo pulmino della Pro Loco di Potenza passerà al porto e osserverà queste fermate, Natural Village, Stazione FS, Antico Uliveto per poi portarvi al luogo dell’incontro.

Brinderemo tutti insieme sulla sommità del paese, nella suggestiva piazza Matteotti, con lo splendido aperitivo offertoci dalla Pro Loco.

Allora!! Cosa aspettate.. fateVi guidare da noi!!